Da nonno Renè a Caterina Vio: un viaggio nel Pigato di Albenga

11:08:00


È una caldissima (finalmente!) giornata di fine giugno quando giungo a Bastia, frazione nell’entroterra di Albenga (SV), uno di quei posti nei quali si sente ancora il profumo del mare ma si è circondati da ulivi, montagne verdi e antichi borghi.

Vengo accolto alla cantina BioVio dal fido Willy, che preferisce di gran lunga il fresco pavimento della cantina all’afa del cortile, e dal sorriso di Caterina.


Noi, forse meno avveduti di Willy, decidiamo di accomodarci in cortile. Non mi sono ancora seduto che arriva il primo bicchiere accompagnato da pane e olio (anche questo ottimo e produzione BioVio) e il racconto può iniziare…

Marenè: una volta Marixe, altra piccola località in provincia di Albenga dove si trovano alcuni dei vigneti, che diventa Marenè dall’unione di Marixe e Renè (il soprannome di nonno Renato). È il pigato “base”, anche se la definizione non è corretta, spiega Caterina, perché in ogni vino c’è la stessa passione e la stessa cura. Il vino ha un naso di erbe aromatiche e agrumi, forse una lieve nota di miele. In bocca ha una bella struttura, è fresco e sapido, caldo e morbido. Finale non troppo lungo, di mandorla. Un buon inizio da cui si capisce subito che la personalità qui non manca!

La presenza di tanti piccoli vigneti, alcuni a ridosso del mare, altri più nell’interno, e un assemblaggio adeguato fanno in modo che ogni vino mantenga un buon bilanciamento tra salinità e freschezza, tra iodio e salvia.

Si passa all’Aimone, il vermentino di casa che prende il nome da “papà” Aimone Giobatta Vio. E quando Caterina lo racconta, ti fa sentire un po’ di famiglia. È meno strutturato del pigato, ma più profumato, di salvia e mela verde, veramente piacevole, fresco, sapido, ottimo in abbinamento col pesto. Una bottiglia che se servita bella fresca, difficilmente farà in tempo a prendere la temperatura ambiente.

“A vendemmiare siamo sempre gli ultimi” mi racconta, e la parziale surmaturazione delle uve è sempre più presente nel colore, nella struttura e nell’intensità, man mano che andiamo verso i pezzi forti della produzione.

Il primo imbottigliamento fu nel 2000, ma non convinto a pieno “il papà andò dal nonno e gli chiese: papà, com’è questo vino?” “Bon in da bon!” Buono davvero! fu la risposta. Ancora papà e nonno, sempre presenti nel racconto, e ancora questa figlia e nipote che ne parla col sorriso negli occhi. Bello!
Purtroppo sbaglio periodo e il vino è terminato. Ho comunque un assaggio dalla vasca di quello che sarà imbottigliato a luglio (tornerò volentieri!). È logicamente giovane ma mostra già un colore leggermente più carico e un intensità superiore al naso rispetto al fratellino Marené, di salvia e menta. Da riassaggiare quando sarà il momento.

Terminiamo il giro dei bianchi (nel frattempo è quasi finito anche il pane con l’olio) con il Gran Père (qualcuno ha detto “nonno”?). Ma questa volta nonno Renato non centra. È il vino del nonno inteso come il vino così come veniva interpretato un paio di generazioni fa. Vendemmia tardiva, macerazione sulle bucce per una settimana a temperatura controllata, 10 mesi di tonneaux.
Il risultato non può che essere un vino dal colore dorato e carico, un naso più complesso ed evoluto, con la frutta gialla matura, il miele, i fiori gialli e le immancabili erbe aromatiche. In bocca si conferma intenso, sebbene anche in questo caso abbia assaggiato un vino ancora giovane, e con una lieve nota tannica equilibrata che non appesantisce. Persistente, morbido e caldo (supera i 14% vol), è un vino che si berrà più volentieri da settembre, quando le giornate si allungano e la sera si rinfresca un poco.


Ormai è passata quasi un’ora e mezza. Il tempo è volato piacevolmente come il pigato ma non ho il permesso di lasciare la cantina senza prima aver assaggiato anche i tre rossi di famiglia.

Bastiò (rossese, di Bastia), quasi un rosato, semplice e fresco di ciliegia, Gigò (granaccia, il soprannome di un bisnonno) un po’ più intenso al naso e in bocca e un po’ più colorato, e Bacilò (blend rossese + granaccia, anche in questo caso un soprannome che discende da Giobatta), personalmente il migliore dei tre con la freschezza del rossese e quel pizzico di corpo in più della granaccia. Certo che dopo i profumi e la struttura di tutti i bianchi assaggiati è difficile restare impressionati da questi giovani rossi così leggeri e delicati.
Del resto qui in liguria il vino della domenica è sempre bianco!

Un ultimo giro per visitare gli appartamenti dell’Agriturismo del Pigato (riesco ancora a fare le scale senza problema alcuno) perfettamente ristrutturati che immagino in più di un’occasione abbiano ristorato l’equilibrio di qualche onesto bevitore e sono pronto a partire.

Un delizioso pomeriggio, una bellissima accoglienza, fresca e attenta, ottimi assaggi e la voglia di tornare per dire anch’io bon in da bon!


0 commenti